Flavio e Rafael sono sposati; in Spagna, non in Italia, dove infatti il loro matrimonio non è riconosciuto, così come tutti i matrimoni omosessuali celebrati in quei paesi dell’Unione dove è consentito. Rafael, cittadino uruguayano e quindi extracomunitario, aveva bisogno del permesso di soggiorno, la Questura competente – quella di Reggio Emilia – non l’aveva concesso. I due, sostenuti dall’associazione radicale Certi diritti, hanno fatto ricorso ed è stato accettato: Rafael ha ottenuto il permesso di soggiorno per motivi familiari.
Il mancato riconoscimento del loro matrimonio era in «violazione del Trattato di Nizza sulla libera circolazione e del Trattato di Lisbona sulla lotta alle discriminazioni», scrive l’associazione nel suo comunicato. «Nel ricorso pur non richiedendo la trascrizione del matrimonio, materia che con il diritto di famiglia viene lasciata alla competenza esclusiva di ogni Stato membro dell’Unione Europea, si chiedeva l’applicazione delle norme che regolamentano la libera circolazione dei cittadini europei e dei loro famigliari. Queste normative europee, ratificate dall’Italia, devono essere applicate anche nel nostro Paese».
Leggiamo ancora nel comunicato che «la sentenza si è richiamata alla sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010 che afferma, tra l’altro, che all’unione omosessuale, “intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso”, spetta “il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia” e che il “diritto all’unità della famiglia che si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare […] costituisce espressione di un diritto fondamentale della persona umana”. Il rilascio del documento a Rafael da parte della Questura di Reggio Emilia è il primo documento nella storia italiana che dà efficacia al riconoscimento dello status famigliare delle coppie omosessuali, un altro grande passo di civiltà per il superamento delle diseguaglianze e delle discriminazioni».
E tutti vissero felici e contenti… o quasi. Resta un vuoto normativo di proporzioni imbarazzanti, per uno dei paesi – il nostro – fondatori dell’Unione europea. Il grande assente, come sempre se si parla di diritti civili, è il Parlamento: ostaggio di quella insostenibile zavorra culturale e politica che è la Chiesa cattolica, che ha nel nostro paese l’ultimo pascolo verde, dove possono brucare indisturbati i peggiori reazionari dell’Europa occidentale. Siamo nostro malgrado l’ultimo fortino a difesa dell’assolutismo di sua santità e i suoi seguaci, perché altri paesi cattolicissimi come la Spagna, l’Irlanda o il Portogallo sono avanti anni luce; solo noi dobbiamo mantenere la classe politica più stolidamente clericale del continente. Circostanza che fa sì che il cammino verso l’uguaglianza effettiva di tutti i cittadini sia un vero e proprio calvario, una via crucis dolorosa, una marcia forzatamente lentissima («la responsabilità di legiferare è degli esponenti della nostra classe politica [...] ma ci vorranno anni, non mesi», ha dichiarato ieri Dimitri Lioi, responsabile giuridico nazionale dell’Arcigay). Così, al solito, deve supplire la Magistratura.
E poi hai voglia a gridare che i giudici non devono sostituirsi alla politica, se quest’ultima latita. Si facessero un bell’esame di coscienza.
Pubblicato ieri qui.
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