Commentando i dati della recente indagine dell’Istat sulla discriminazione sessuale in Italia, l’associazione Gay Center di Roma – per bocca del portavoce Fabrizio Marrazzo - haminacciato la formazione di un vero e propriopartito gay pronto per presentarsi alle elezioni del 2013: «Non resta che sondare il favore degli italiani per un partito gay visto che i partiti oggi in Parlamento non sanno rispondere a queste istanze». Il progetto verrebbe portato avanti seguendo un basso profilo, ma già circolano possibili nomi per il partito, tra i quali spicca un Forza Gay ispirato alla prima esperienza politica berlusconiana. Pare si stia già pensando anche al simbolo. Ma i media italiani erano in altre faccende affaccendati (come il prevedibile tsunami grillino) e a parte qualche eccezione non se ne sono accorti: ne ha parlato l’Espresso, alcuni giorni dopo che il sito web del Gay Center aveva riportato la dichiarazione di Marrazzo.
Purtroppo per Marrazzo l’idea non è originale: almeno un partito Gay esiste già, sebbene non sia chiaro quale sia la sua attività attualmente, ed ha tanto di programma politico già pronto.
Marrazzo viene dalla militanza nell’Arcigay (è stato presidente della sezione romana dell’associazione), dalla quale poi è stato espulso e successivamente reintegrato a seguito di una azione giudiziaria. L’Arcigay ci ha abituati a boutade senza seguito, come lo sciopero fiscale minacciato alcuni anni fa, e anche questa, al momento ha tutta l’aria di una uscita destinata solo a far sensazione; dopo l’estate dovremmo saperne di più, ma intanto facciamo che l’idea sia autentica e – soprattutto – fattibile, e ragioniamoci sopra.
La scorciatoia della scesa in campo in prima persona è comprensibile: non ci danno quello che ci spetta? E noi andiamo a prendercelo! Ma per proporsi bisogna essere credibili: manca, per cominciare, una assunzione di responsabilità per il fiasco continuo permanente della mancanza di risultati politici dell’associazionismo glbt italiano, il che sarebbe già un buon punto di partenza. Perché questa idea (della quale, a dire il vero, si parla da decenni) parte proprio – come dicevamo – dall’area delle associazioni italiane per i diritti delle persone glbt: i personaggi sono sempre gli stessi, quei leader che appena terminano il loro mandato fondano il loro micromovimento (ad esempio Aurelio Mancuso con la sua Equality Italia o lo stesso Marrazzo col Gay Center), personaggi che hanno traslato nell’associazionismo gli stessi difetti del partitismo di sinistra. E questo non è un buon punto di partenza, soprattutto perché stavolta l’obiettivo è assai ambizioso: il rischio tranvataè dietro l’angolo, non vorremmo che tutta questa storia finisca come quella dei fucili pronti nelle case del bergamasco, paventati dalla Lega anni fa.
In un’epoca in cui è evidente che i partiti sono morti o moribondi, riproporre il partito monotematico appare quanto mai fuori luogo; a pensar male, qualcuno potrebbe dire che è addirittura sospetto, se consideriamo che il finanziamento pubblico dei partiti non verrà mai abolito, finché esisteranno i partiti stessi e finché ci sarà spazio per nuovi partiti e relativi organi di stampa, e tutte quelle scorciatoie fantasiose per mettersi quei soldi in tasca. Il partito monotematico ha un vizio d’origine che ne limita l’efficacia: riduce di molto la rappresentatività, circoscrive sul nascere il proprio bacino elettorale; si guardi alla prudenza con la quale persino i cattolici, presunta maggioranza nel paese, approcciano l’idea di un partito cattolico. Similmente, non si può pensare che gli elettori omosessuali (categoria artificiosa) abbiano tutti le stesse idee politiche e gli stessi bisogni. Perché in ogni società evoluta si è prima di tutto cittadini, e solo dopo omosessuali, o donne, o immigrati, operai, imprenditori, eccetera.
Detto questo, in generale, le istanze propugnate sono giuste: non si tratta di calare dall’alto una rivoluzione ma di raccogliere i frutti maturati ‘in basso’, perché solo in questo modo i frutti sono duraturi. In Italia il problema dei diritti non risolti della comunità glbt sta a monte, ed è la politica, che resiste perché è scollegata dalla realtà sociale, ed è invece collegata – fin troppo – con la Chiesa cattolica, a sua volta scollegata con il pragmatismo della maggior parte dei suoi fedeli. E poi parte dei media, a loro volta intellettualmente corrotti per il loro collateralismo con la politica e la religione (per cui ci vorrebbe finalmente la fine del finanziamento pubblico ai giornali; ecco, questa potrebbe essere una battaglia per le associazioni). Un circolo vizioso che rende comprensibile chi considera l’ipotesi di inserire una leva che scardini il meccanismo una volta per tutte in un colpo solo.
La società è pronta per i diritti delle persone glbt, checché ne dica la propaganda partitico-cattolica, ma la scelta del metodo per ottenerli è importante; più che fondare un partito, identificarsi in una ideologia e impantanarsi nella palude, nel vortice del sistema partitico dedito da sempre ai compromessi più avvilenti, è meglio proseguire con l’azione di informazione, educazione e pressione politica fatta finora, anche dai tanti militanti delle associazioni. Il cittadino omosessuale deve partire dalla consapevolezza della sua condizione (mancanza dei diritti civili e di effettiva parità di opportunità) e dare il suo contributo alla crescita della società in tutti i suoi aspetti, continuare ad essere una lobby diffusa sul territorio e sempre più riconoscibile, perché il tappo ideologico sul collo di bottiglia della civiltà oramai sta per saltare: in quel momento, come cittadini glbt dovremmo essere pronti a mettere sul mercato il nostro pacchetto di voti, ma come elettori, non come partiti.
Il che, tra l’altro, presupporrebbe che anche i movimenti si uniscano invece di continuare a disperdersi o esibirsi in solitari scatti in avanti. Non cambieranno mai, ecco perché non saranno mai credibili, che siano singoli ex leader, associazioni o partiti istituzionalizzati.
Pubblicato ieri qui.
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