lunedì 19 marzo 2012

Il rock è morto, e anche dio non sta tanto bene



Durante la tappa argentina delle loro tournee sudamericane, pochi giorni fa, due rockstar di primo piano – Roger Waters e Morrissey – hanno pubblicamente e clamorosamente dichiarato che le isole Falklands, oggetto della guerra lampo di trent’anni fa con la Gran Bretagna, dovrebbero tornare all’Argentina come isole Malvinas. Waters, leader storico dei Pink Floyd, che da The Wall in poi non ha cantato quasi d’altro che della guerra e del rapporto con suo padre, e Morrissey, già leader degli Smiths di The Queen is dead (tanto per chiarire la sua idea sulla monarchia britannica), hanno così dato un sussulto al rock dato per spacciato definitivamente da una vasta platea di critici musicali. E’ passato tanto tempo dai raduni oceanici dei tempi d’oro, fine Sessanta inizio Settanta, quando migliaia di ragazzi manifestavano contro la guerra del Vietnam al suono delle sei corde di Joan Baez e di Jimi Hendrix. Da allora più nulla, con l’unico intermezzo degno di nota del Live Aid degli anni Ottanta, organizzato da Bob Geldof (uno che ha avuto a che fare con Waters recitando nella versione cinematografica di The Wall) per raccogliere fondi contro la fame in Africa; l’Africa ha ancora fame, ma tant’é, non si può avere tutto.

Oggi invece abbiamo il dominio del pop (figlio di quello degli anni Ottanta, a sua volta figlio della disco degli anni Settanta), e dell’hip hop cafone dei rappers di colore americani, che ostentano la loro ricchezza in maniera incredibilmente pacchiana. I tempi sono decisamente cambiati.

Nel suo libro Retromania, Simon Reynolds parla proprio della morte del rock e del punk, assenti da decenni dalle parti alte delle classifiche di vendita e sostituiti appunto dal synth-pop, dalla black, dall’hip hop e dall’elettronica (la quale non ha nulla a che vedere con lo sperimentalismo di marca teutonica di mezzo secolo fa, sia chiaro). Chi ha fatto l’autopsia sul corpo del rock afferma che era malato di revivalismo: gruppi e cantanti che imitano – perché non hanno idee per innovare, secondo molti critici – il rock classico; oppure proprio i vecchi dinosauri (quelli rimasti in vita) di quegli anni che si rimettono in gioco partendo per costosissime tournee mondiali; secondo i maligni perché anche il loro conto in banca soffre la nostalgia dei tempi migliori. L’ultima innovazione vera in quest’ambito, dopo la ventata incredibilmente feconda e ineguagliabile di quel decennio che va grosso modo dall’apoteosi del progressive alla prima dell’affermazione del punk, è stato il Trip hop, inventato a Bristol da gruppi come i Massive Attack.

La presunta morte del rock è un falso problema: il presente non è paragonabile all’età dell’oro, in un mondo oggi soffocato da una overdose di informazioni (Too much information, per dirla coi Police) e dal proliferare delle icone popolari extra musicali, ed è sempre più difficile emergere, catturare l’attenzione e mettersi al centro della scena; anche il rock deve soccombere al mutare dei tempi, confondersi col forte rumore di fondo degli anni duemila.

Tuttavia, c’é una parte di verità: il rock inteso come movimento culturale una volta guidava le masse in una vera opposizione sociale a sciagure come la guerra del Vietnam o la discriminazione razziale. Ora ha perso quella carica liberatoria e rivoluzionaria, di istigazione alla ribellione che aveva negli anni 70, a fronte di una crisi globale (non solo economica, che sarebbe già abbastanza), ma sebbene negli ultimi quarant’anni nessun movimento rock è venuto a galla in maniera prepotente, la verità è che anche oggi le rockstars fanno politica. Ma in modo diverso, meno eclatante e con un linguaggio che inevitabilmente non ha più la forza di stupire. Chi afferma che in un’epoca di conflitti sociali ancora aperti e di crisi economica a latitare è proprio il rock, sbaglia anzitutto a considerare le proporzioni della questione.

Per questo forse oggi è inutile aspettarsi l’esplosione planetaria di un manifesto utopistico e rivoluzionario come quello cantato da John Lennon in Imagine; e qui viene il bello: sarà un caso che proprio questa canzone (che è ancora potente come allora) è stata brutalmente storpiata in Times square, New York, nella notte tra il 31 dicembre e il primo gennaio?

I fatti: in occasione delle celebrazioni per il capodanno 2012, il cantante Cee Lo Green, eseguendo il capolavoro lennoniano, ha arbitrariamente modificato il verso «and no religion too» trasformandolo in «and all religions true» (ogni religione è vera). A parte l’assenza di logica, essendo le religioni anche profondamente diverse, la differenza è lampante.

Facciamo un passo indietro; mentre l’Islam ha sempre rifiutato il rock in blocco, nel cristianesimo la sua demonizzazione, come con qualunque cosa che non capisce (coi fondamentalisti che persino oggi, a quanto pare, ascoltano al contrario i dischi rock, non sia mai nascondano qualche messaggio demoniaco), ha camminato di pari passo con il tentativo di assimilarlo ed appropriarsene, di trasfigurarlo a sua immagine non potendo eliminarlo. Il “christian rock” fu propiziato – secondo alcune fonti – dall’inno Why should the devil have all the good music? (perché il demonio dovrebbe avere tutta la buona musica?) di Larry Norman: «sometimes people don’t understand, what’s a good boy doin’ in a rock n’ roll band there’s nothing wrong with playing the blues licks, if you’ve got a reason, I want to hear it why should the devil have all the good Music?» (a volte la gente non capisce cosa ci sta a fare un bravo ragazzo in una rock’n'roll band, non c’é niente di male a suonare fraseggi blues, se hai una ragione, vorrei sapere perché il diavolo dovrebbe avere tutta la buona musica?).

Tralasciando la radice spiritual, da molto tempo totalmente separata dal rock, dio (che ha sempre bisogno di un aiutino) e la religione sono stati sempre celebrati anche con chitarra, basso e batteria: dopo Norman e prima dei gruppi christian rock contemporanei (i P. O. D., payable on death, sono il più famoso) è venuto Bono Vox coi suoi U2, che hanno musicato un Gloria e il salmo 40. In realtà, come per tutte le etichette affibbiate a chicchessia, non c’é uniformità di opinioni sulla esistenza effettiva di un movimento christian rock, semplicemente ognuno canta quello che gli pare. Ma, per tornare a Imagine, la storpiatura delle opere rock che invitano alla libertà di pensiero è la terza via tra demonizzazione ed assimilazione, ed è ancora in gran voga.

Dopotutto, ben prima della chitarra elettrica è toccato al violino essere accostato a Satana: un perfetto strumento demoniaco perché nel suonarlo i movimenti della mano destra sono completamente slegati da quelli della sinistra, in uno sdoppiamento che poteva essere propiziato – si riteneva – solo dal favore degli abitanti dell’inferno. «Per questo voi non dovete avere paura dei Kiss o di Vasco Rossi, che in fondo è un bravo ragazzo, ma dovete temere quelli come me!» (Angelo Branduardi durante un suo concerto).

In Italia, paese da operetta, oggi gli avanzi del punk-rock fanno clamorose marce indietro. Il caso più rumoroso è stato quello di Giovanni Lindo Ferretti, leader prima dei CCCP – Fedeli alla linea, poi dei C.S.I. (Consorzio Suonatori Indipendenti) infine dei P.G.R. (Per Grazia Ricevuta), che dopo aver cantato il comunismo sovietico e la complessa bellezza del mondo, è approdato all’elogio del suo ‘maestro’ Joseph Ratzinger, compiendo una scelta senz’altro lecita ma soprassedendo su come larga parte di quella teologia ispiri direttamente la discriminazione sociale. Alla faccia della coerenza.

Ma il rock resiste anche all’integralismo religioso, ed è tutt’altro che morto: le rockstar sono ancora capaci di prendere posizione, come con le recenti dichiarazioni contro il colonialismo britannico di Waters e Morrissey (che sono britannici) sulle Falklands, l’impegno di Annie Lennox in favore delle donne nei paesi più poveri, l’appoggio dei Coldplay alla causa di Amnesty International e del commercio equo e solidale o l’avversione esplicita dei Killing Joke di Jaz Coleman verso l’ipocrisia delle religioni organizzate. Per citare solo quelli famosi.

Questa è la brace sotto la cenere del rock, c’é solo da smuovere i tizzoni, il fuoco è vivo.

Già pubblicato qui.

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