Cronache Laiche (e questo blog) aveva già trattato dello scollamento crescente tra le gerarchie della Chiesa cattolica e una parte consistente della ‘base’ dei fedeli, quelli che una volta si chiamavano cattolici adulti, sottolineando la mancanza di coerenza di questi quando tacciono di fronte alle nefandezze ecclesiali (pedofilia, assoluzione del berlusconismo, arroccamento nei privilegi fiscali, politiche finanziarie disinvolte, eccetera), e auspicando una “ribellione pacifica”.
Uno scollamento che assume tratti grotteschi alla luce della pretesa modernizzazione della propaganda cattolica, da alcuni anni impegnata a colonizzare il web, compreso il recente, strombazzato sbarco papale su Twitter. Il che non può che ridursi, nella sostanza, ad usare un media moderno per veicolare un messaggio a dir poco anacronistico (il moralismo cattolico che ignora l’evoluzione dei costumi, così come fa finta di niente di fronte ai suoi errori passati), cavalcare la modernità tecnologica per continuare a ignorare la modernità sociale. Una sorta di paradosso, come ne è piena la storia della Chiesa. A cinguettare sul web sono già alcuni vescovi, cardinali ed altri esponenti di spicco del mondo cattolico, come mons. Gianfranco Ravasi (quello del Cortile dei gentili), il cardinale Angelo Scola, il direttore di Civiltà Cattolica Antonio Spadaro ed altri. Adesso invece è il turno del pontefice ‘in persona’.
Già nel 2009, il papa regnante nel suo messaggio per la Giornata mondiale per le comunicazioni sociali, rivolgendosi alla cosiddetta generazione digitale, aveva dovuto prendere atto (con grande tempismo, come al solito) che «le nuove tecnologie digitali stanno determinando cambiamenti fondamentali nei modelli di comunicazione e nei rapporti umani». Quindi, invitava i «giovani cattolici» a «portare nel mondo digitale la testimonianza della loro fede». Detto fatto, dopo l’apertura del sito pope2you, dopo aver acceso le luminarie dell’albero di natale in piazza S. Pietro con il suo iPad, ecco che Ratzinger sta per sbarcare su Twitter con un suo account, nell’entusiasmo corale del grosso dei media, come sempre acritici ed allineati.
Ciò non toglie – come dicevamo all’inizio – che esattamente come in politica la partitocrazia, anche la Chiesa ufficiale sta perdendo sempre di più il contatto con la ‘base’ dei fedeli meno disposti a ingoiare rospi a ritmo continuo. Così, esattamente come le posizioni quasi eretiche dei preti di frontiera (per tacere della Teologia della liberazione repressa dal beato Giovanni Paolo secondo) o ‘progressisti’, come don Giorgio de Capitani, è passata pressoché sotto silenzio la protesta, che in altre circostanze avrebbe suscitato grande clamore, dello sciopero della messa.
Ferruccio Sansa è un giornalista (ha scritto, tra gli altri, per Repubblica, Il Secolo XIX, La Stampa ed attualmente per Il Fatto Quotidiano), autore di saggi e inchieste, coautore di un best seller come La Colata che tratta della cementificazione selvaggia del territorio, ed è cattolico. Sansa si è prodotto alcuni giorni fa per Micromega in una amara analisi, a tratti molto dura, del silenzio dei cattolici di fronte ad una Chiesa «sempre più distante dai valori del Vangelo […] è un silenzio dovuto al senso di obbedienza, di soggezione che fa parte della cultura cattolica. Magari a un comprensibile rispetto. O forse anche al timore, in un momento di profonda crisi materiale e morale, di mettere in discussione uno dei pochi sostegni rimasti. Ma oggi, di fronte agli ultimi scandali, mi chiedo se questo silenzio “rispettoso”, non rischi di diventare colpevole. [...] Non corriamo il rischio di assistere passivamente a una crisi che minaccia di travolgere definitivamente la Chiesa di cui pure diciamo di essere parte?»
Di fronte alla domanda «cosa devo fare? devo rassegnarmi al silenzio?», Sansa – che a questa iniziativa ha dedicato anche una pagina su Facebook – visto che «le gerarchie ecclesiastiche finora sono sembrate sorde a qualsiasi forma di dissenso. Non hanno replicato in modo adeguato e convincente alle tante notizie di cronaca che le riguardavano», dà una risposta rivoluzionaria, in relazione al consueto rapporto tra autorità religiosa e fedele: «…non sarò in Chiesa. No, non è un gesto per lasciare ancora più soli tanti sacerdoti, anzi. Ma sento che – per me – è giusto così, anche se non se ne accorgerà nessuno, se non io. Ma se tanti altri lo facessero, chissà…»
Occorre precisare che da un punto di vista laico e aconfessionale, il fatto che molti cattolici disapprovano in larga parte l’operato della loro Chiesa e non ne seguono la dottrina nella propria vita quotidiana ma ritengono ancora di farne parte, non è esclusivamente un affare interno alla Chiesa (maiuscolo ma anche minuscolo: chiesa – ecclesia), ma una questione che riguarda l’intera società, vista la grande influenza che la religione ha nella sfera politica e sociale. Spetta ai credenti non rassegnati e non allineati ad ogni costo, essere coerenti: tra quello che professano a parole e disattendono nei fatti non ci può essere un compromesso. Non è una questione meramente teologica, il loro silenzio contribuisce direttamente e pesantemente alla degenerazione della Chiesa (chi tace acconsente) e quindi di questa società; loro hanno questa grande responsabilità, visti i numeri, e dovrebbero prendersela tutta intera. Non sono gli atei né i laicisti a poterci salvare, sono i cattolici adulti. E – a parte Sansa e pochi altri – non sappiamo ancora se tutti costoro se ne rendono conto. Che finalmente si stia muovendo qualcosa, che questa sia la volta buona?
Già pubblicato qui.
Nessun commento:
Posta un commento