mercoledì 20 giugno 2012

I talebani della fantascienza



Uno coltiva nel suo piccolo una passione, spensieratamente, senza avere alcuna intenzione di erigersi a guru, e nemmeno pretendere la patente di esperto (la conoscenza dettagliata di una materia è cosa indispensabile nella professione che l’ha per oggetto, ma non necessariamente – o non sempre – in una semplice passione), cerca di parlarne con altri, di condividere il suo entusiasmo e invece puntualmente si imbatte nei talebani. Se si parla di arte (letteratura e cinema, nello specifico) non c’é nulla di più distante di questa daldogmatismo, essendo l’arte materia opinabile e soggettiva per eccellenza; eppure anche in questo ambito i talebani abbondano.
Cosa è la Fantascienza? O meglio: quale percentuale di plausibilità deve avere per essere considerata tale? In realtà non c’é una sola risposta, e infatti non esiste una definizione univoca di fantascienza, accettata da tutti e senza dubbi; men che meno c’é mai stato qualcuno che ha osato stabilire dei requisiti “ufficiali” e obbligatori per la stesura di racconti e sceneggiature in questo genere letterario. Altrimenti, le chiacchiere starebbero a zero (ma sarebbe comunque una follia: le gabbie dogmatiche sono sempre stupide, talvolta tragiche).
I fans più estremisti del genere diranno che la percentuale di plausibilità deve essere del 100%, come se si dovesse ignorare del tutto il prefisso fanta e considerare solamente il suffisso scienza; altri, più accomodanti, parleranno genericamente di una certa percentuale di plausibilità,ammettendo che ognuno ha la sua soglia di tolleranza delle incongruenze drammatiche ed errori scientifici nei racconti di sci-fi.
Dunque, la fantascienza deve essere plausibile, sennò è solo una corbelleria (questa terminologia è mutuata dai forum on line nei quali gli appassionati del genere si confrontano, ndr). La prima obiezione possibile è che se pretendiamo la plausibilità totale, una bella fetta di letteratura fantascientifica dovrebbe quantomeno essere derubricata a fantasy puro e semplice, perché nei racconti e nelle saghe più conosciute e di maggior successo (e negli eventuali film e serie tv che ne vengono tratte, ovviamente) ci sono spesso incongruenze ed errori correggibili senza inficiarne la trama in maniera significativa, ma più spesso altri che se corretti imporrebbero, di fatto, un azzeramento totale dell’opera, rendendo impossibile lo svolgimento dell’azione come concepita originariamente, talmente radicali sarebbero le modifiche necessarie all’economia del racconto.
Alcuni esempi: i motori a curvatura descritti in Star Trek sono solo congetture, di fatto irrealizzabili, e anche viaggiare nell’iperspazio (la cui esistenza, ovvio, non è dimostrata ma solo teorizzata) come in Star Wars, o sfruttare i wormholes presenti in una miriade di racconti e sceneggiature. Scientificamente impossibile è viaggiare a velocità pari o superiore – ma anche prossima – a quella della luce, e quindi spostarsi da un pianeta all’altro di una galassia – o da una galassia all’altra – in tempi brevi, ovvero che non comportino un invecchiamento significativo nei protagonisti del racconto, o proprio la loro estinzione prima dell’arrivo a destinazione. La gravità artificiale di cui sono dotate molte astronavi nella letteratura, dalla Enterprise di Star Trek allaNostromo di Alien, non è plausibile (e infatti per lo più non viene spiegata nel dettaglio), è possibile attualmente solo attraverso lo sfruttamento della forza centrifuga: evidentemente non è il caso né dell’Enterprise né della Nostromo, e nemmeno della Millennium Falcon in Star Wars. Poi: non è peculiare che i protagonisti delle storie citate – ed altre – abbiano sempre a che fare con alieni intelligenti ed antropomorfi, che parlano correntemente l’inglese, provenienti tutti da pianeti con massa e atmosfera terrestri? Chi scrive queste storie non ha mai letto nulla sul Paradosso di Fermi? Ed è mai possibile che la torcia umana (ne I fantastici quattro) possa sviluppare lo stesso calore di una supernova?
E’ possibile che il processo di terraforming di Marte si esaurisca nel giro di una notte? Ovviamente no, ma non per questo il compianto Ray Bradbury in Cronache Marziane ha scritto una vaccata(altra ponderata definizione di un talebano della fantascienza). Dunque, resterebbe ben poco, se pretendessimo che il fondamento della fantascienza fosse solo di essere plausibile.
Prendiamo la serie-cult degli anni 70 Spazio 1999, coprodotta dalla Rai e dalla ITC inglese e mandata in onda in ventiquattro episodi in bianco e nero (più altri ventiquattro della seconda stagione, totalmente rovinata per cercare di sfondare sul mercato televisivo americano); chi ha superato la quarantina magari se la ricorda. Di errori e incongruenze ce ne sono in quantità industriale, in effetti più che in altri film o serie tv, errori che nemmeno a citarli tanto sono evidenti (e nessuno nega che alcuni episodi della prima stagione e quasi tutti quelli della seconda sono in effetti inguardabili). Ma per questo non dobbiamo considerarla fantascienza? Se non lo è, allora non lo sono – per gli stessi motivi – anche i film e le serie tv sopra citate.
Alla fine viene in nostro soccorso nientemeno che Isaac Asimov, uno dei mostri sacri della fantascienza, che in un articolo pubblicato sul New York Times nel settembre del 1975 parla proprio della serie prodotta da Gerry e Sylvia Anderson, smascherandone senza pietà errori e incongruenze, ma – a dispetto di tanti snob che giudicano le avventure di John Koenig e compagni solo dellecorbellerie – parla di alcune di queste incongruenze come «errori dovuti a necessità drammatiche»,e su questi si dichiara disposto a soprassedere. Pare un atteggiamento equilibrato, e non stiamo nemmeno tirando troppo per la giacca il caro vecchio Isaac.
Il fondamento scientifico e tecnologico è solo uno dei possibili requisiti della sci-fi, ce ne sono altri, e uno non esclude l’altro. E a dirla tutta, il confine col fantasy è alquanto labile, tanto che i due generi sono stati spesso sovrapposti; e persino il genere horror viene dalla stessa radice, tanto che Ray Bradbury, uno dei maestri del genere, ha amato intrecciarlo con la sci-fi: non per niente è stato un amante di Edgar Allan Poe, citato più volte nei suoi racconti. E a proposito di Bradbury, scomparso pochi giorni fa, egli preferiva essere considerato uno scrittore di fantasy, più che di sci-fi; ma ancora oggi noi troviamo i suoi libri negli scaffali della fantascienza, a riprova che i confini tra i due generi sono molto mobili, o quanto meno soggettivi.
A proposito di Poe: se leggiamo il suo racconto intitolato Hans Phaal, non ci mettiamo mica a spaccare il capello in quattro perché è impossibile (non è plausibile) andare sulla Luna con la mongolfiera; eppure Poe viene considerato l’inventore della fantascienza, insieme a Jules Vernecol suo Viaggio al centro della Terra: in quel racconto, il viaggio verso la Luna di Hans Phaal è narrato in maniera estremamente dettagliata, con un taglio descrittivo scientifico, si potrebbe dire (malgrado i presupposti totalmente infondati), forse per la prima volta e comunque assai diverso – ad esempio – da quello poetico utilizzato da Ludovico Ariosto ne L’Orlando furioso, circa tre secoli prima, dove Astolfo va sulla Luna su di un carro alla ricerca del senno di Orlando; o dall’indagine poetica del nostro satellite che Dante Alighieri tenta nel Paradiso. La fantascienza ha radici poetiche, e fantastiche.
Si può godere allo stesso modo di un film come Contact di Robert Zemeckis (tratto da un racconto diCarl Sagan) e dell’episodio Sole nero di Spazio 1999, dove la base Alpha e tutta la Luna passano indenni attraverso un buco nero, dell’Odissea nello spazio di Kubric (da un’idea di Arthur Clarke) e degli antieroi di Men in Black o District 9, persino degli improbabili Visitors in questi giorni sugli schermi televisivi.
Alla faccia di talebani e snob.
Già pubblicato qui.

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