domenica 18 settembre 2011

Julia Roberts è un mostro!



Tra le attrici che resteranno nella storia del cinema, Julia Roberts è senz’altro una star di prima grandezza, oltre che quella che si fa pagare di più al mondo per prestare la sua opera. Ma si può dire che è anche bella? Senz’altro no, con quel sorriso “equino” nel viso sproporzionato, e le gambe così poco fotogeniche che hanno avuto bisogno addirittura di una controfigura in alcune inquadrature ravvicinate del cult movie “Pretty woman”.

E’ decisamente brutta. Quindi, le dovrebbe essere impedito di lavorare: che faccia la fila alla mensa dei poveri, se pretende di fare quel lavoro, o si metta a fare la lavandaia, se vuole mangiare, le attrici e gli attori devono necessariamente essere belli. Molti lettori non saranno d’accordo, immaginiamo. Si dirà: non è vero, è bellissima; oppure, più saggiamente: è questione di opinioni. E questa è l’obiezione pertinente: chi può stabilire cosa è bello e cosa è brutto, con quali parametri e in relazione a cosa?

Proviamo a immaginare: cosa succederebbe se qualcuno decidesse che possono lavorare solo attori “belli”, ove il bello è stabilito secondo criteri arbitrari, calati dall’alto e imposti a tutti? Se la bellezza avesse dei canoni stabiliti per legge, se fosse un concetto ispirato al dogmatismo? Prevedibilmente si solleverebbe l’umanità intera o quasi, di fronte a tale sopruso, in difesa della libertà di giudizio estetico, e a difesa dei “brutti” discriminati.

Venendo alla realtà e alla stretta attualità, essendo impossibile – stando l’eterogeneità di vedute sui temi etici – stabilire un criterio unico di valutazione su quando comincia e finisce la vita umana, perché c’é una parte della società che si è arrogata il diritto di elevare le sue opinioni su questi temi a canone unico e a obbligo di legge? Che la vita (un concetto – in quest’ambito – estremamente vago, il cui contenuto non è mai stato chiarito a sufficienza) sia un “bene indisponibile”, non è una idea del tutto relativa a chi la sostiene, in altre parole una semplice per quanto rispettabile opinione? In astratto: quando ‘entra’ l’anima in un corpo umano? E quando ne esce: al cessare dell’attività cerebrale o del battito cardiaco? Checché ne pensiamo, anche questo non può che essere un punto di vista soggettivo (stante l’indimostrabilità dell’esistenza dell’anima), una opinione – peraltro – che la Chiesa cattolica ha anche cambiato nel corso dei secoli, avendo prima impiegato molto tempo -per esempio- per decidere se anche le donne fossero dotate di anima oppure no.

Quello che manca sempre nel campo dei propugnatori dell’assoluto è l’umiltà e l’onestà intellettuale di fare sano esercizio di immedesimazione, di provare empatia: calarsi nei panni dell’altro per «vedere l’effetto che fa», come cantava il cantautore. Il mistico Charles De Foucauld (ispiratore dei Piccoli Fratelli, forse l’ordine religioso più ‘secolare’ e meno bigotto) scriveva che se mentre pregava veniva interrotto, egli non faceva altro che continuare la sua preghiera a Cristo e la sua contemplazione non più nel tabernacolo ma nel cuore di chi aveva bussato alla sua porta. Se c’é un cristianesimo davvero simile a quello ideale, e compatibile con la dignità dell’essere umano, credente o no, deve essere questo: lontano dai bizantinismi delle lussuose stanze vaticane e vicino alla realtà di coloro che stanno «all’ultimo posto», di cui tanto parlano – a sproposito. Forse dovremmo sperare in un Piccolo Fratello sul trono di Pietro, ma non siamo sicuri che non gli farebbero fare la fine di Pietro da Morrone. In troppi a Roma hanno dimenticato – se mai l’hanno saputo – cosa dovrebbe essere il cristianesimo: i compari di chi si metteva di traverso davanti all’ambulanza che portava Eluana Englaro verso la liberazione, una fine dignitosa del suo calvario, ricordano più i seguaci di Torquemada o dei talebani afghani che quelli di Gesù Cristo.

Immedesimazione, dicevamo: come si sentirebbero se un potere costituito teorizzasse -ad esempio – l’innaturalità del celibato e della castità e la superiorità morale della promiscuità sessuale, e imponesse a tutti i religiosi di sposarsi e fare sesso almeno tre volte a settimana, con soggetti di ambo i sessi? O semplicemente, se fosse fatto divieto a ciascuno di seguire liberamente i precetti della propria religione? Che penserebbero, da vittime, di questo tipo di assolutismo? Non si sentirebbero violentati nella loro dignità e libertà di scelta riguardo alla propria condotta di vita?

Perché così è come si sentono tutti quelli che hanno sottoscritto – o vorrebbero farlo- le proprie disposizioni anticipate di trattamento, per decidere in autonomia del proprio destino: scippati della loro dignità di uomini liberi dalla minaccia di una mostruosità giuridica imposta a tutti per motivi ideologici, tramite una classe politica oramai alla canna del gas.

Dunque, se un attore ‘brutto’ se la può cavare con controfigure ed effetti speciali, applicare il photoshop alla vita e ai suoi estremi per aggiustarseli a piacimento, accondiscendendo a un pensiero unico, quale che sia, è un esercizio incredibilmente stupido; e quando una visione della vita (una opinione) diventa legge, si raggiunge – in scala maggiorata – lo stesso paradosso di Julia Roberts. Alla quale – a scanso di equivoci- rinnoviamo tutta la nostra stima e ammirazione per la sua bravura, e che ovviamente non troviamo affatto “brutta”.

Già pubblicato qui.

Nessun commento: