giovedì 30 giugno 2011

Visit New York



Dunque, anche lo Stato di New York legalizza il matrimonio omosessuale, seguendo l’esempio di altri stati – come il Connecticut o l’lowa – e dopo aver deciso già tre anni fa di riconoscere quelli celebrati negli altri stati dell’Unione. Ora bisognerà vedere se questa legge resisterà ai prevedibili ricorsi o addirittura a un ipotetico referendum abrogativo, come quello che aveva spazzato via un’analoga legge in California nel 2008 (riammessa due anni dopo per incostituzionalità del referendum stesso).
Inutile riferire delle “perplessità” e preoccupazioni del mondo cattolico e cristiano più retrivo, sono scontatissime, persino banali.

In attesa degli sviluppi a New York, dunque, proviamo ad inquadrare la questione da una diversa prospettiva, più distante, osservando un dato più generale: accanto alla politica e all’ideologia, troppo spesso intimamente connesse, un motore possibile per l’emancipazione delle persone glbt nel mondo può essere l’economia, ovvero il commercio, il business nudo e crudo, un incentivo di solito assai efficace per superare anche certe barriere culturali.

Non sfugge ai più la circostanza che il matrimonio omosessuale – o istituto equivalente – così come il conseguimento del complesso dei diritti civili delle persone glbt, è esclusiva di parte del mondo “occidentale”, e questa ovviamente non è una coincidenza: da sempre infatti le statistiche ci raccontano come un maggiore progresso civile si accompagna ad un certo benessere materiale.

L’ulteriore eventuale dettaglio di concedere la possibilità di sposarsi anche alle coppie omosessuali con cittadinanza estera, diventa – tra le altre cose – una forma di promozione turistica e commerciale, prima ancora che culturale; una scelta che alcuni paesi non hanno fatto – quale che sia il motivo – come la Spagna ad esempio, dove solo gli spagnoli possono sposarsi. Devono saperlo bene, invece, in Canada o in Norvegia, dove anche gli stranieri possono sposarsi.

Ma l’attenzione al mercato omosessuale va oltre il matrimonio: il sito visitOslo, ad esempio, curato dall’Ente locale per la promozione turistica, che opera in stretta collaborazione con le autorità comunali, dedica un’intera pagina al turismo gay, dove si legge tra l’altro che «gli abitanti di Oslo sono molto tolleranti e la Norvegia ha molte personalità di spicco nel campo della politica, degli affari, dello sport e dello spettacolo che hanno fatto outing», frase usata con disinvoltura, come un argomento di promozione qualsiasi, come la bellezza del paesaggio o la ricchezza dell'offerta culturale.
Nelle riviste glbt del nord Europa, tra gli inserzionisti troviamo giganti dell’industria e dell’imprenditoria come la BMW o la SAS (Scandinavian Airlines System).

Questi dettagli (e ora veniamo in Italia), qui da noi non sono ancora la normalità ma l’eccezione, e gli imprenditori che provano – legittimamente – a sfruttare il “mercato gay” trovano una ottusa e indebita opposizione direttamente nella politica: se è passata inosservata la sponsorizzazione del palco del recente Europride di Roma da parte del network radiofonico Radio Deejay (forse Giovanardi non se ne è accorto…), deprimenti polemiche ha suscitato la ormai famigerata campagna della Ikea (svedese, non a caso) rivolta alle famiglie omosessuali.

Qualche tentativo tuttavia è stato fatto: ad esempio in Sicilia, dove l’ex assessore al Turismo della Regione, il finiano Nino Strano, aveva proposto di puntare apertamente al turismo gay per risollevare le sorti di un settore in crisi. La proposta fece scalpore ma restò senza esito, a quanto ci risulta.

Ma oramai pare evidente che le strade verso l’eguaglianza civile dei cittadini del mondo sono molteplici, e alcune più veloci oppure più incisive della sola azione politica. Forse, anche questo (insieme al tradizionale do ut des per convincere alcuni consiglieri repubblicani) ha favorito nello stato di New York il felice esito dell’iter di approvazione di una legge che si trascinava da anni: se così fosse, più che le manifestazioni di protesta ha potuto il denaro.

Se tutto andrà bene, “The big apple” avrà un motivo in più per attirare capitali grazie a una forma di turismo che – voluta o meno – porta denaro alle casse comunali; e con quello, anche progresso culturale ed equità civile.


Già pubblicato qui.

Nessun commento: