martedì 7 giugno 2011

Gay Pride, orgoglio e pregiudizio



Stonewall Inn, frequentato locale con clientela glbt, poco dopo mezzanotte: ennesima irruzione della polizia, ennesime umiliazioni subite dagli avventori, trascinati in strada, portati in cella, i nomi pubblicati sui giornali con tanto di fotografie per il pubblico ludibrio, nel contesto di una società puritana, chiusa nel pregiudizio. Ma qualcosa per la polizia, va storto: stavolta trovano una reazione, fiera, ostinata. Ne seguono tre giorni di scontri, manganelli e lacrimogeni da una parte, sassi e bottiglie dall'altra; e dopo un mese, una manifestazione: quella di chi ha smesso di nascondersi e subire, e trova finalmente la forza di reagire a millenni di soprusi, manifestandosi per quello che è senza più paura e ipocrisia.

Siamo a New York, 1969, e quegli scontri -detti i Moti dello Stonewall- furono l'inizio della battaglia mondiale per i diritti delle persone glbt. E anche la prima Gay Pride Parade come la conosciamo oggi, sfilata dell'orgoglio e della fierezza (pride, in inglese) delle persone glbt, con una piattaforma politica di rivendicazione dei diritti civili, ma anche carnevale, festa, secondo la natura delle persone che vi partecipano. Dopo New York, l'idea di organizzare una sfilata dell'orgoglio si è estesa, lentamente, in tutto il mondo: oggi in Brasile sono milioni e milioni i partecipanti, nei paesi del nord Europa il Pride ha quasi perso la connotazione politica (perché i diritti sono acquisiti) ed è rimasta festa, alla quale partecipano anche le istituzioni, persone eterosessuali, famiglie con bambini, persino rappresentanti delle religioni locali; anche a Tel Aviv il corteo registra una nutrita partecipazione (in relazione al contesto). Per contro, nei paesi dell'est europeo l'organizzazione della sfilata dell'orgoglio omosessuale può costare letteralmente l'incolumità fisica, ancora oggi; ma si sta espandendo anche lì, ad esempio con la recente sentenza della Corte Europea per i diritti dell'uomo che ha respinto il ricorso di Mosca, che era stata condannata dalla UE per aver vietato lo svolgimento del Pride locale (sebbene Mosca abbia perseverato nel divieto e una marcia contro l'omofobia ha subito un'aggressione violenta da gruppi di oltranzisti ortodossi).

In Italia la prima manifestazione pubblica delle persone glbt risale al 1979, reazione ad alcuni episodi di violenza ai danni di persone omosessuali a Pisa e Livorno, ma per il primo Gay Pride vero e proprio bisognerà attendere gli anni novanta.
Anche qui alla sfilata partecipano persone eterosessuali, famiglie con bambini, credenti e non; ma questi non fanno notizia, nel paese dell'informazione malata, salvo eccezioni a metà tra il servilismo e lo scandalismo guardone: qui ad essere "sbattuti in prima pagina" sono solo i cosiddetti eccessi: travestiti, provocazioni irriverenti (e del tutto legittime) che tuttavia costituiscono una piccola parte del corteo.

A che serve il Gay Pride? Ottiene risultati concreti a favore delle persone che partecipano oppure è mera ostentazione, «orgoglio del sedere» (citazione di Alberto Arbasino), addirittura controproducente? Se lo domandano in molti, anche -o soprattutto- nella comunità glbt, ma la domanda è decisamente mal posta. Anzitutto perché la parata è solo un momento, forse il più visibile ma solo un momento nel complesso delle iniziative di lotta e informazione che le associazioni glbt promuovono nel corso di un anno; poi, perché è proprio un falso problema in sè: certo, chi manifesta una natura che va contro il moralismo ufficiale, imposto con la forza della politica e del pregiudizio radicato nella cultura dominante, è scandaloso, ma evidentemente il problema è tutto di chi si scandalizza, rifiutandosi a priori di venire a vedere e ascoltare cosa hanno da dire i partecipanti. Non si può discutere sull'utilità di una libera manifestazione di pensiero, e non si può scendere a compromessi con chi ha paura delle diversità (e non di rado di se stesso) rinunciando a manifestarsi, non si può adottare gli stessi argomenti degli omofobi (interiorizzati o meno) e farsi dettare da loro l'agenda, farsi dire come -o piuttosto se- farsi vedere, cosa chiedere. Dall'altra parte, gli omofobi non hanno bisogno del pretesto del Pride per vomitare il loro odio sulla minoranza glbt; ma men che meno la maggioranza di questa minoranza dovrebbe discriminare a sua volta la sua minoranza solo perché è fatta di persone che vestono un boa di struzzo invece che giacca e cravatta, persone che sono se stesse senza compromessi (scandalose, un tipo di libertà che -come il coraggio- chi non ce l'ha non se la può dare), sarebbe una capriola inaccettabile, puro autolesionismo, assunzione di quel moralismo ipocrita e fuori tempo massimo tipico di certi ambienti clericali. Peraltro, non è accettabile nemmeno la tesi secondo la quale il Pride sarebbe ostacolo al conseguimento di una legislazione favorevole, visto che qui si fa da relativamente poco e anche prima non c'erano diritti: basta vedere le reazioni isteriche alla oramai famigerata ma pur semplice campagna pubblicitaria della Ikea.

La prima a reagire quella notte allo Stonewall è stata proprio una transessuale, una persona scandalosa: Sylvia Rivera, che -come Rosa Parks- si è caricata sulle spalle in un solo momento tutto il peso di secoli di sofferenze patite da milioni di persone, esorcizzando nella sua rabbia la loro paura. Se le persone glbt hanno qualche diritto (ove sono garantiti) lo devono a una transessuale.
Sylvia Rivera è morta nel 2002, dopo una vita molto difficile, mentre l'anno scorso è scomparso all'età di 91 anni Seymour Pine, il poliziotto che guidò il fatale "assalto" allo Stonewall: nel 2004 si era dichiarato pentito di averlo fatto.

Un ultimo elemento a favore della parata dell'orgoglio omosessuale: il Gay Pride è l'ultima, grande manifestazione per la laicità che si tiene in questo paese, colonia dell'unica teocrazia occidentale: non c'é nessun altra occasione di queste proporzioni per i laici italiani di manifestare la loro esistenza e chiedere parità di diritti.


Già pubblicato qui.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

E' incredibile come da un anno all'altro scriviamo in questa data le stesse cose senza che nenache un cm di passo in avanti venga fatto sul terreno dei diritti civili, o meglio della normalità.


http://www.nessundio.net/blog/2010/06/30/4179/

La nostra pazienza dovrebbe essere esaurita. Non credi?

Alessandro Baoli ha detto...

Si, è deprimente...