giovedì 3 febbraio 2011

Croci in montagna, ovvero come marcare il territorio



Chi tra i lettori ama e frequenta la montagna non avrà potuto evitare di notare come tra le vette sopra le nostre valli svettino numerose croci cristiane, pòste a dominare le valli sottostanti oppure più nascoste, in posizioni visibili solo dopo un lungo e faticoso cammino sui sentieri d'alta quota. In ferro, cemento armato o legno, più o meno visibili ma comunque invadenti, 'artificiali', simbolo chiaramente di parte in un luogo -la montagna- che (pur volendo considerare che nasce dal naturale movimento delle placche continentali) non è opera consapevole dell'ente superiore titolare di quel simbolo ma, oltre ad essere di tutti, credenti e non, è comunque il luogo 'spirituale' e metafisico per eccellenza:

"Ogni frequentatore della montagna, in passato come nel presente, mosso da intento alpinistico ovvero ludico e ricreativo, riscontra nel monte un valore fondamentale per molti versi mistico, derivante in primis dalla ineluttabile, maestosa bellezza naturale delle montagne, dal rappresentare un ambito di purezza, di incontaminatezza ancora scevra da certe brutture della civiltà umana più scriteriata, dall’essere ogni vetta un luogo assoluto, elevato sopra il mondo e oltre il quale vi è solo l’immensità del cielo; la stessa ascensione dell’alpinista dal piano verso la vetta è spesso stata interpretata in chiave ascetica (stessa radice etimologica, d’altronde), di elevazione dall’ambito ordinario quotidiano a quello puro delle alte quote. Senza protendere in alcun modo verso visioni soprannaturali, divine e dunque religiose, è fuor di dubbio che l’essenza del monte tocca e vibra le corde profonde dell’animo umano, e ne scaturisce sensazioni ed emozioni di assoluta umanità; qualcuno definì le montagne “le cattedrali della Terra”, a sottolinearne una sacralità assoluta, assolutamente laica e ben contrapposta a qualsiasi altra di imposta matrice religiosa, con i monti come meravigliosi templi inneggianti alla bellezza della Natura e in genere del nostro mondo",

per usare le parole dello scrittore Luca Rota.

L'abitudine a 'marcare' il territorio, come fanno alcuni animali selvatici con il loro odore, è tipica della cultura cattolica e risale a tempi molto antichi, ma questi tempi sono cambiati e l'imposizione di simboli di parte oggi non è più unanimemente propugnata o solamente tollerata nemmeno da chi fa della montagna la sua 'professione' o la sua vita: la questione, infatti, è stata posta anche all'interno del CAI, Club Alpino Italiano, e il dibattito ha raggiunto picchi di polemica tali da spingere, per esempio, alcuni soci a restituire la tessera senza tanti rimpianti, mentre in Svizzera una guida alpina ha segato una croce senza tanti complimenti o pentimenti, e anche qui da noi alcune croci piantate con enfasi (e con l'elicottero) sulle Dolomiti 'scompaiono' misteriosamente, lasciando solo i buchi dei bulloni di fissaggio, tra lo sconcerto ingenuo dei valligiani. Si arriva, inevitabilmente, fino alla provocazione intelligente di alcune guide alpine che nel 2005 hanno portato una statua del buddha sulla cima del Pizzo Badile.

Chi pianta croci in montagna non considera nemmeno lontanamente che il suo è un abuso e un atto arbitrario, un'appropriazione indebita di un bene comune, come del resto fa (per fortuna solo a parole) il papa regnante -e come faceva il suo predecessore- il quale durante le sue vacanze estive in Val d'Aosta non fa che magnificare l'opera di dio che avrebbe creato 'cotanta bellezza'. E' pur vero che tra una croce e un impianto di risalita, che sia abbandonato o funzionante, vi sono pochi dubbi su quale crei il danno maggiore per l'ambiente alpino (Ratzinger è mai stato a vedere Pila d'estate?), ma a parte il fatto che una battaglia non esclude l'altra, uno skylift non è simbolo di una ideologia (se non quella dei cementificatori e speculatori a tutti i costi) discriminante per chi non la condivide.

A tutte queste obiezioni si finisce per replicare col consueto meccanismo autolesionista (involontario?) di ridimensionamento del valore del simbolo-crocefisso: che fastidio dà una croce?, si risponde dopo aver cercato di argomentare sulla presunta universalità di quel simbolo.
Allora non si può che dare ragione a Reinhold Messner quando dice che sarebbe giusto eliminare tutti i simboli dalle montagne: "Quando si arriva in vetta basta fare come si usava una volta, costruire un ometto di sassi". E stop. Per non farne territorio dell'ennesima guerra di religione.




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