lunedì 28 marzo 2011

Come in Terra, così in cielo

Le costellazioni sono un frutto del bisogno dell’uomo di organizzare in spazi ben definiti l’apparente disordine del cielo notturno così come lo vediamo da Terra. Nate in epoca remota, prevalentemente in seguito a esigenze mistiche, sono sempre state anche un valido ausilio all’orientamento nei primi lunghi viaggi intrapresi dall’uomo. In realtà, i disegni che vediamo nel cielo sono unicamente frutto della prospettiva: fisicamente una costellazione non esiste in quanto le stelle che la compongono sono quasi sempre estremamente lontane tra di loro.

Nell’antichità classica gli dèi premiavano gli eroi e gli uomini più meritevoli (talvolta solamente i più sfortunati) ponendoli in cielo tra di loro, in quello che era il prototipo del Paradiso dei monoteismi successivi all’ebraismo, dove dèi e uomini vivevano insieme in eterno, trasformandoti così in costellazioni o singole stelle che tutta l’umanità avrebbe visto sopra di sé per sempre.

Terminata l’età classica, anche il cielo divenne “terra di conquista” e di appropriazione da parte delle culture succedutesi nei secoli, e l’invenzione di nuove costellazioni – o la modifica di quelle esistenti – poteva obbedire a criteri apparentemente religiosi ma in realtà politici o perfino sentimentali: è questa l’origine, ad esempio, della oggi scomparsa costellazione di Antinous. L’imperatore Adriano pose in cielo il suo preferito dopo la sua tragica e ancora misteriosa scomparsa, scegliendo una zona del cielo dove, secondo la tradizione, era maggiormente manifesta la potenza degli dèi: esattamente tra l’Aquila e l’Acquario (alle quali vennero “tolte” alcune stelle per creare la nuova costellazione), in questo modo richiamando e immedesimandosi nella leggenda di Zeus e Ganimede, ove il dio, trasformatosi in rapace, rapì il giovane di cui s’era invaghito e lo portò con sé in cielo.


Già Tolomeo nel suo Almagesto prese nota dell’esistenza della costellazione di Antinoo, la quale poi resistette per molti secoli a dispetto della feroce ostilità del nascente cristianesimo, che vedeva nella relazione tra l’imperatore e il giovane un motivo di biasimo, una scandalosa commistione di idolatria ed esaltazione dell’omosessualità. Solamente nella lista definitiva delle attuali 88 costellazioni stilata appena il secolo scorso dalla UAI (Unione Astronomica Internazionale) fu sancita la scomparsa definitiva della costellazione di Antinoo, le cui stelle furono “restituite” alle due costellazioni precedenti.

Per un vero tentativo di “colonizzazione e conversione” cristiana del cielo, invece, si dovette attendere il 1627, in piena Controriforma, quando Julius Schiller col suo Coelum Stellatum Christianum, stilò una lista di nuove costellazioni, rappresentate in numerose tavole di pregio, con le quali si intendeva rimpiazzare le preesistenti ed eliminare del tutto quella che era probabilmente l’ultima traccia evidente del paganesimo antico, sostituendo le figure della mitologia classica con simboli e nomi giudaico-cristiani, per esempio avvicendando i segni zodiacali coi nomi dei dodici apostoli. Il tentativo non ebbe successo; viceversa, curiosamente, sono ancora presenti in cielo le cosiddette “costellazioni illuministe”, tutte nell’emisfero australe: nel 1763 Nicolas-Louis de Lacaille diede un nome ad alcune zone del cielo che ne erano ancora prive, ma cessando la consuetudine millenaria di utilizzare nomi riferiti alla mitologia classica utilizzò invece nomi di strumenti utilizzati nella ricerca scientifica o di invenzioni recenti. Così, in cielo non troviamo più San Silvestro Pontefice Maximo o il Sepolcro di Cristo, ma c’é ancora la Macchina Pneumatica, il Regolo, il Telescopio e la Bussola.


Che resistono insieme ai miti del passato in un curioso amalgama dove non trovano posto i monoteismi; in cielo si può.



Già pubblicato qui.

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