martedì 27 marzo 2012

No Martini, no party!



E’ di prossima pubblicazione il libro “Credere e conoscere”, che racconta il confronto tra il senatore del Pd Ignazio Marino e il cardinale Carlo Maria Martini. Un dialogo sui temi più importanti della vita portato avanti per anni da due personaggi speculari, nel loro modo di operare nelle rispettive istituzioni: il Partito Democratico e la Chiesa cattolica. Il primo, il partito con la laicità a geometria variabile, viene da dieci anni abbondanti di fratture insanabili tra l’ala ‘laicista’, di cui Marino è uno dei più autorevoli esponenti, e quella cattolica, ovvero una delle schegge impazzite della defunta Democrazia Cristiana, sposatasi per interesse con una parte degli ex comunisti in una unione certamente contro natura. Tanto che il figlio della colpa – il Pd stesso – è malato di schizofrenia ed è sull’orlo dell’esplosione (leggi scissione); ed è da rilevare che questo non potrà che essere un bene, in quanto contributo determinante alla chiarezza, nei confronti degli elettori.

Quanto alla Chiesa cattolica, sappiamo che le posizioni più avanzate, relativamente alla qualità reazionaria e retriva (a dir poco) della sua dottrina politica, sono sempre isolate e raramente vengono alla luce. Quando questo succede, come nel caso in questione, è certamente degno di nota, tuttavia è opportuno conservare un atteggiamento critico e una ragionevole quota di disincanto nell’esaminare certe prese di posizione in attesa della smentita, rettifica, precisazione, contestualizzazione, marcia indietro (parziale o totale), presa di distanza. Come, ad esempio, dovette fare il vescovo di Ragusa – sullo stesso tema – non molto tempo fa.

Il Corriere della Sera ieri ha anticipato il capitolo del dialogo tra i due dedicato al tema dell’omosessualità e della eventuale regolamentazione delle coppie di fatto. Quello che si legge, è un confronto surreale: Martini oscilla tra posizioni di relativa apertura e le consuete chiusure dogmatiche cui ci ha abituati Santa Romana Chiesa. Dalla scontata critica al Gay Pride, giustificabile – secondo il porporato – solo perché non ci sono ancora diritti civili per gli omosessuali, alla oramai noiosa difesa d’ufficio della famiglia tradizionale (eterosessuale, cattolica, finalizzata alla procreazione). Manca, inoltre, ed è il dettaglio più impressionante, il coraggio di ammettere che tra due persone dello stesso sesso ci può essere vero amore, e un progetto di vita condiviso: non riuscendo a pronunciare la parola amore, Martini non si spinge oltre la comprensione del «valore di una amicizia duratura e fedele tra due persone dello stesso sesso. L’amicizia è sempre stata tenuta in grande onore nel mondo antico», ma «se viene intesa anche come donazione sessuale non può allora, mi sembra, venire eretta a modello di vita come può esserlo una famiglia riuscita». Questi modelli di vita non hanno «utilità sociale [come la famiglia tradizionale, ndr] e soprattutto non vanno esibiti in modo da offendere le convinzioni di molti».
Poi però il cardinale scatta in avanti (ma non troppo, se leggiamo ancora tra le righe): premesso che «io ritengo che la famiglia vada difesa perché è veramente quella che sostiene la società in maniera stabile e permanente e per il ruolo che esercita nell’educazione dei figli», ammette che «non è male, in luogo di rapporti omosessuali occasionali, che due persone abbiano una certa stabilità e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli. Non condivido le posizioni di chi, nella Chiesa, se la prende con le unioni civili. Io sostengo il matrimonio tradizionale con tutti i suoi valori e sono convinto che non vada messo in discussione. Se poi alcune persone, di sesso diverso oppure anche dello stesso sesso, ambiscono a firmare un patto per dare una certa stabilità alla loro coppia, perché vogliano assolutamente che non sia?»
Con uno scarto laterale incrociato, infine, Martini smentisce in parte la sua difesa d’ufficio della famiglia tradizionale: «Non credo che la coppia eterosessuale e il matrimonio debbano essere difesi o puntellati con mezzi straordinari perché si basano su valori talmente forti che non mi pare si renda necessario un intervento a tutela. Anche per questo, se lo Stato concede qualche beneficio agli omosessuali, non me la prenderei troppo».

Il cardinal Martini ha abbracciato non di rado posizioni progressiste rispetto alla dottrina ufficiale (ad esempio sul celibato dei preti); tuttavia c’è un dettaglio da considerare: egli è piuttosto isolato, nel collegio dei cardinali e nel consesso dei vescovi più influenti in questo pontificato, può dire quello che vuole e sorprendere con effetti speciali, ma di fatto non è ascoltato in Vaticano. Le sue prese di posizione, oggi come oggi, servono solo per offrire spunti a dibattiti sterili, e ad offrire un pretesto a chi cerca di spacciare la Chiesa come realtà variegata, aperta alla modernità e dialogante al suo interno.
Quanto a Ignazio Marino, egli ha il diritto di fare come vuole e di parlare con chi crede; la realtà, in generale, è che qui e oggi (Italia, anno 2012) interloquire in questo modo con esponenti del clero, per quanto autorevoli, è come postulare che per estendere i diritti civili a tutti i cittadini (sembra rivoluzionario ma, ricordiamo, sta scritto nella Costituzione) si deve chiedere il permesso alla Chiesa; che è il motore inesausto della discriminazione, causa e principio delle diseguaglianze sociali delle persone glbt.

Questo tipo di dialogo è tempo sprecato: prima rendiamo tutti i cittadini uguali, poi – chi vuole – può dialogare, e confrontarsi sui massimi sistemi (o, in alternativa, sull’aria fritta); il politico che ha le spalle dritte e non si prostra di fronte alla Chiesa non deve perdere tempo, deve impegnarsi ogni giorno a realizzare una società giusta.
Anche perché col passare del tempo, il confronto con il resto del continente europeo è sempre più imbarazzante per l’Italia, lo sappiamo bene. L’Europa, quanto a diritti civili delle persone glbt, vista dall’alto appare divisa da una linea diagonale che separa i paesi del sud-est del continente dalla civiltà: l’Italia è scavalcata, in questa triste classifica, solo da paesi come la Serbia, dove le istituzioni non reprimono le violenze organizzate contro i gruppi e le manifestazioni di persone glbt, l’Ungheria, dove si è realizzata di fatto una teocrazia repressiva per quelle (ed altre) istanze, o la Russia: a San Pietroburgo, per esempio, ora è vietato persino parlare in pubblico di omosessualità, grazie ad una legge approvata da pochi giorni.

Infine, una nota di colore: Aurelio Mancuso, ex Arcigay e ora presidente della associazione Equality, festeggia il cardinal Martini: «sono le prime parole pronunciate a sostegno dei diritti delle coppie gay da parte di una figura così importante per tutta la Chiesa Cattolica mondiale». L’ineffabile mondo dell’associazionismo glbt, tutto, si inalbera contro uno sketch televisivo, ma quando deve stigmatizzare il contentino del momento, l’esternazione contraddittoria di un vecchio cardinale isolato e ininfluente (l’avesse detto Ratzinger, quello che ha detto Martini…), invece festeggia. Avanti così.

Già pubblicato qui.

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